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ETNEI viaggio in Sicilia

Le foto non hanno bisogno di parole. Qui il viaggio è intrigante. Ogni scatto è evocativo e rimanda a storie e leggende che ancora oggi scatenano l’immaginario, al di là di ogni possibile didascalia. L’Etna e il territorio etneo sono una meta imprescindibile per chi vuole avere una visione completa del mondo di cui essi rappresentano una “sineddoche” in termini di varia umanità e di immense bellezze. Qui le civiltà si sono incontrate e s’incontrano ancora, con tutte le loro contraddizioni e ricchezze: dalla bellezza alla miseria, dalla straordinarietà all’ordinarietà, dai colori unici e irripetibili che incantano ai sapori forti e delicatissimi fatti d’essenze rarissime. Qui l’architettura, ricca o povera, racconta di un popolo laborioso e geniale che della necessità ha saputo fare virtù nel corso dei secoli, utilizzando con sapienza materiali partoriti dalle viscere della terra, da un vulcano che distrugge e rigenera: la pietra lavica. Un materiale affascinante che ha permesso ai siciliani di creare capolavori indiscutibili di cui sono ricchi i centri storici di tutte le città che sorgono ai piedi e attorno all’Etna, il “Tetto vulcanico d’Europa”.

L’itinerario parte da Catania, città greca-romana-barocca-postmoderna. Qui la realtà e la leggenda si intrecciano in modo quasi naturale. Il cuore del centro storico è percorso da un fiume sotterraneo sepolto dalla lava e nasconde alle insidie della modernità le tracce ancora vive della città romana, le cui terme sono ancora visitabili. C’è da assaporare prelibatezze ed arte. La poesia del suo barocco, affascinante eppure violato, dissacrato da scritte spray, che se ne infischiano della memoria e del suo tessuto urbano, della sua tradizione, e della sua cultura, che se ne inficiano perfino le edicole votive, in una città che si unisce e impazzisce in occasione dei festeggiamenti della “Santuzza” miracolosa, che fermò la lava: Sant’Agata. Di contro, la città si presenta pulsante di quella cultura, protetta in quella sorta di set naturale che è via dei Crociferi, con il suo splendido barocco, immortalato in alcune scene de “I Viceré” di Federico De Roberto e la chiesa di San Giuliano dove nel film “Il bell’Antonio” il padre del protagonista, interpretato da Marcello Mastroianni, si reca per contrastare l’annullamento del matrimonio del figlio; la chiesa di San Benedetto, patrimonio dell’UNESCO, collegata all’omonimo convento, luogo che ispirò Verga per “Storia di una capinera”. Storia di una capinera, come molte altre storie e leggende catanesi e siciliane, è pervasa da una vena di tristezza e di amarezza, ma tutte sottolineano la fiducia e la speranza che alcuni uomini hanno nel destinare la propria vita ad uno scopo più elevato e ciò, soprattutto in Sicilia, ci riporta a storie del nostro presente.

Un tuffo nel passato per interpretare il presente e lo spirito dei siciliani lo troviamo anche nel monumento a Ferdinando II di Borbone, la statua acefala da più di un secolo, oggi, per i catanesi “a statua senza testa”. La storia racconta che nel 1860  per la prima volta venne oltraggiata dai garibaldini che, in preda al sentimento antiborbonico, le tagliarono la testa. Dopo un soggiorno nei magazzini municipali, la statua venne riportata nella sua aiuola di via Dusmet nel 1964, sempre senza testa, mai ritrovata. Priva dell'oggetto che teneva in mano: uno scettro(come si può facilmente dimostrare grazie ad un’opera gemella, che si trova a Messina e che conserva ancora la testa e il suo scettro) il monumento a Ferdinando II di Borbone è diventato obiettivo preferito della fantasia dei cittadini, che in ogni occasione si divertono ad agghindarlo a seconda delle celebrazioni del momento, come ad esempio accadde in occasione dei mondiali di calcio,in cui gli fu messo tra le mani un pallone e una bandiera. Non c’è pace per il povero ex monarca a cui, negli anni, il Comune di Catania ha sbagliato persino il nome sulla targa, ma l’opera del suo creatore Antonio Calì, continua dal 1853 a troneggiare davanti al palazzo Biscari. E che dire di quell’angolo di straordinaria bellezza, ossia il mercato del pesce di Catania, ‘a Piscaria’, dove ogni mattina rivivono le più antiche tradizioni siciliane dei pescatori e dove il tempo pare essersi fermato. Qui echeggia il suono caratteristico della “vuciata” che richiama, quasi come canto di atipica sirena, per rapire e stordire l’attento ed esigente acquirente. A Piscarìa si estende dalla leggendaria fontana dell’Amenano, che crea il cosiddetto effetto “acqua a linzolu”(Acqua a lenzuolo)che dà sembianze umane ad uno dei fiumi sotterranei catanesi, fino ai cosiddetti “archi della marina”. Fino agli anni Trenta, un terzo degli “archi della marina” di Catania, trovava sbocco sulle acque del porto, costituendo una sorta di ideale ingresso alla città a tutte quelle piccole imbarcazioni di pescatori che rientravano dopo una giornata trascorsa in mare. Gli archi sono un lungo viadotto ottocentesco in muratura della ferrovia Catania-Siracusa, che collega la stazione di Catania centrale all’imbocco del tunnel ferroviario in pietra lavica dell’Acquicella. Successivamente, con i lavori di ampliamento del porto, la zona venne interrata e gli Archi della Marina poggiarono interamente sul suolo. Dal fatto che sotto di essi trovavano rifugio in passato i senzatetto, nacque la famosa massima, tutta catanese, “stari sutta l’acchi ra Marina” quando non si sapeva dove trovare riparo in tempi di crisi. Con ancora catturate nelle nostre retine le immagini pittoresche degli antichi quartieri a luci rosse, dei vecchi bassi di via delle Finanze e del quartiere San Berillo, sopravvissuti ai tentativi di bonifica, dove ancora c’è chi esercita il mestiere più antico del mondo, proseguiamo il nostro viaggio verso la fertilissima Piana di Catania. Area che si estende per circa 43.000 ettari, di origine alluvionale, è una delle zone più calde d’Europa. La Piana, dai catanesi denominata “a Chiana”, grazie al microclima tipico della zona e ai terreni di origine lavica, è la patria delle arance più apprezzate del mondo come il Moro, il Sanguinello e il Tarocco. Esse hanno un gusto, un colore e proprietà salutistiche e vitaminiche unici al mondo. Sono il sapore di Sicilia. Il paesaggio piatto della piana viene a tratti interrotto dalle colline e dagli altipiani coltivati con il sistema “a terrazza”, con le loro contraddizioni: le tipiche costruzioni e masserizie rurali, le abbazie, vestigia di antico splendore, convivono con i mostruosi, scheletri di cemento ormai in gran parte abbandonati e ci introducono al vero unico grande dominatore: il Tetto vulcanico d’Europa, l’Etna. L’Etna e il suo Parco, patrimonio dell’umanità, offre una diversità di ambienti naturali con panorami bellissimi e spettacolari: dalle eruzioni allo scioglimento dei nevai, che creano ruscelli incantevoli, passando per boschi e fioriture uniche al mondo. L'Etna che offre agli amanti degli sport invernali la possibilità di sciare sulle sue pendici guardando il mare e le Isole Eolie. Se l’Etna che distrugge rigenera e alimenta è un vulcano folle per chi lo conosce, figuriamoci per chi ci si accosta per la prima volta. Dai giochi di nuvole alle potentissime emissioni di cenere che coprono intere città in poche ore perfino a distanze incalcolabili, dai tremendi boati che riecheggiano l’urlo di Tifeo e inducono alla preghiera e alle giaculatorie all’infernale spettacolo delle eruzioni di fronte alle quali è sempre stupore, è sempre scoperta. Un mostro da temere o un padre da rispettare o una madre da amare o forse tutto questo insieme o forse poesia di colori suggestioni e sentimenti che copiosi sgorgano in modo naturale e spontaneo al viaggiatore attento, che si perde, rapito, nel tramonto, sperando di incontrare da un momento all’altro lo spirito delle bellissime ninfe, Galatea, Proserpina e Rosemarine, per farsi raccontare le leggende, per sentirsi sempre più parte di una terra di mito...

Mario Pafumi

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