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Flussi di genere nel vortice sospeso dell’essere a colloquio con la vita

Identità e conflitto, poesia e introspezione, bisogni ancestrali di un corpo che vive il suo tempo accompagnato da un’anima che non lo riconosce, è quanto Claudio Argentiero ha svelato, con intima ricercatezza espressiva e poetica, parlando di differenza di genere.
Le immagini scorrono come un fotogramma di un film brevissimo tuttavia intenso facendoci intuire ed interrogare, inevitabilmente, sulla relazione tra il potere della fotografia e l’evoluzione/rivelazione di una personalità forte e trasgressiva da una parte, fragile e malleabile dall’altra. 

L’ambiguità tra le forme maschili e le forme femminili viene rappresentata attraverso un volto fuggevole, uno sguardo apparentemente diretto, un groviglio di movenze che l’immaginario collettivo attribuisce alla languida sensualità femminile, qui rivelata da neri intensi che raccontano, mentre la luce, finemente velata, ha tutto l’intento di proteggere chi sente il bisogno di liberare l’autentico senso dell’essere.

Il corpo nella mente, riprendendo un celebre testo di Mark Johnson, diviene prigione e barriera, ma anche scudo, protezione e filtro per dialogare con il mondo esterno aprendo dibattiti grazie alla metafora della vulnerabilità di un mondo interiore, spesso deriso da una società intrisa di stereotipati comportamenti.

Non è stato certo facile oggi per la fotografia interiorizzare i cambiamenti sociali, interpretare i fenomeni culturali attraverso una concezione in divenire, è una sfida che Claudio Argentiero ha saputo percorrere facendo tesoro della sua ricca esperienza fotografica ma anche umana.

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